domenica 8 luglio 2012

La morte in Sardegna: superstizioni, ritualità e credenze


  di Federica Selis
Dare l’avvio ad un discorso sulla morte in Sardegna non è semplice. Tanti sono i concetti legati a questa fase della vita, l’unica certa dopo la nascita. Nella nostra epoca nessuna differenza distingue più noi Sardi da tutti gli altri paesi del mondo, la legge italiana determina e regola gli atti espletanti la morte e la religione cristiana detta i dogmi a cui tutti noi dobbiamo essere sottoposti una volta arrivato il momento. Ma come in tante altre situazioni in cui è la tradizione a farsi avanti a dispetto delle regole imposte, anche per quanto riguarda la morte ed in particolare gli usi e le credenze legate a questa, in Sardegna sussistono ancora delle regole non scritte che vengono tramandate e rispettate da moltissime singole famiglie. Il nostro punto di partenza in questo percorso vuole essere il presagio della morte nella credenza popolare. Diverse possono essere le cause di morte: malattia, incidente, vendetta. In genere i presagi avvengono la notte, talvolta tramite il sogno; altre volte è l’atteggiamento particolare di un animale che può essere interpretato come cattivo auspicio: citiamo in questo caso l’ululato del cane, a cui vengono attribuiti i poteri di comprendere quando la morte si avvicina alla famiglia.
Io stessa ho sentito spesso raccontare da parenti o persone anziane che un cane che ulula la notte sta annunciando la morte del proprio padrone. Strano a dirsi, ma un altro animale considerato foriero di cattive notizie è la gallina: si pensa che quando la si senta chiocciare la notte significhi che stia per accadere una disgrazia, ma se l’animale dovesse essere trovato morto il mattino dopo, allora questa abbia preferito prendere la gallina piuttosto che qualcuno della famiglia. A Seui si dice invece che l’animale che riesce a vedere i morti sia l’asino, e che per questo motivo esso sia spesso visto con paura dalle persone. Un certo tipo di sogno, se interpretato nella maniera corretta, rappresenta, allo stesso modo dell’animale, motivo di presagio. Sognare il funerale con tanto di carro funebre e fiori di un proprio caro gravemente ammalato significherà la morte dello stesso entro la giornata successiva; sognare pezzi di carne macellata potrebbe significare una morte per vendetta; o ancora, sognare un parente defunto e seguire attentamente le sue indicazioni potrebbe salvaguardare da morte prossima un altro componente della famiglia. Ma anche la leggenda e la fertile fantasia popolare non mancano di aiutarci in questo senso. È facile predire morte o comunque grave sventura se nelle ore notturne si ode lungo le strade del paese il lugubre muggito di un toro. Esso, uomo costretto a subire durante la notte, per condanna divina, la trasformazione in bovide, vaga per i viottoli del villaggio alla ricerca della morte, e quando la trova batte per tre volte con lo zoccolo sull’uscio della casa dove avverrà la sventura, quindi dopo aver lanciato un ultimo lungo muggito, scompare nelle tenebre. Porta sul capo due corna d’acciaio infuocate e si narra che solo un uomo particolarmente coraggioso possa riuscire a liberarlo da questa condanna, affrontandolo e spezzandogli le corna. È questa la leggenda dell’Erchitu, nota soprattutto nelle zone del Nuorese. Ma non solo gli animali, uditi, sognati o leggendari possono portare presagio di sventura: leggenda vuole che anche il rumore di un carro, dal terrificante cigolio, che vaghi sempre la notte per le vie del paese non porti affatto buone nuove. Onde rassicurare il lettore è d’obbligo specificare che, sebbene il suo rumore possa essere udito da chiunque, la sua vista è preclusa a chi non sia destinato alla morte entro breve tempo. A Sant’Antioco, centro di 11.000 abitanti nell’isola omonima, gli anziani narrano che in una particolare via del centro cittadino, Via Solferino, rimasta ancora in ciottolato come in tempi antichi, si oda talvolta il rumore di un carro che discende le scalette con gran fracasso. Una giovane testimone, la cui abitazione si affaccia su questa strada, raccontò alcuni anni orsono alla sottoscritta di aver sentito, intorno alle tre del mattino, un fortissimo frastuono e di essersi affacciata subito alla finestra ma di non aver visto nulla, ma non solo, una volta aperta la finestra il rumore era improvvisamente cessato. Se per l’Erchitu possiamo parlare di un qualcosa circoscritto alla sola zona del Nuorese, come già detto, per quanto riguarda quest’ultima leggenda la vediamo diffusa in tutta la Sardegna col nome de “Su Carru de isMortus” o “de sosMortos”, a seconda delle zone linguistiche. Si tratterebbe in effetti di un normale carro da buoi senza cocchiere, che vagherebbe per le strade trainato da cavalli senza testa, trasportando su di sé gli spiriti delle anime defunte, e che una volta portato a termine il suo compito foriero di sventura, prenda fuoco e si inabissi nelle tenebre. Come già detto chi avesse la sfortuna di vederlo, sarebbe destinato a morte certa entro brevissimo tempo. Ma le anime defunte possono vagare per strade, chiese o cimiteri anche da sole o in gruppi numerosi. È questo il caso de “Sa Reula”, ossia il corteo dei morti. Dovendo interrogare i vecchi su questo argomento vi direbbero che è sconveniente transitare nei pressi delle chiese nelle ore che vanno dall’una alle tre del mattino, orario in cui prendono vita la maggior parte delle leggende sarde che trovano ambientazione la notte. Pare infatti, sempre secondo le credenze popolari, che in quelle ore le chiese siano animate dai balli delle anime defunte e a chi, malauguratamente, dovesse capitare di trasgredire questa regola e trovarsi nel mezzo di queste danze, rischierebbe di divenire a sua volta uno di loro, ossia di essere prossimo alla morte. Ma sa Reula non si manifesta solo nelle chiese: può infatti capitare che la si incontri anche nei viottoli di campagna, in lunghe e cospicue file di spiriti. Anche in questo caso essi cercherebbero di introdurre il malcapitato nel corteo e costui, per salvarsi dalla morte, dovrebbe recitare i “brebus”. Sono ancora le credenze popolari a venirci incontro quando si parla di “mussiu de mortu”: se al mattino appena svegli ci si trova sulla pelle un livido di cui non si ricorda la causa, potrebbe essere accaduto che durante la notte questo sia stato lasciato da uno spirito,ad indicare la prossima morte del “morsicato”. Tralasciando ora le leggende e passando ai rituali popolari, era uso fino a pochi decenni fa inserire tra il corredo mortuario -soprattutto se di un maschio celibe - una bambolina femminile di pezza: questa, chiamata “Sa Pippia de Pannu”, doveva servire a far compagnia al morto in sostituzione di una donna vera, facendo sì che il suo spirito insoddisfatto non tornasse sulla terra a prendere una fanciulla della famiglia o del vicinato,affinchè gli tenesse compagnia per il sonno eterno. Tengo a sottolineare che quest’abitudine trova le sue origini in tempi remoti: pare infatti fosse consuetudine quella di accompagnare il defunto celibe nella tomba con una bambolina femminile. In epoca prenuragica questa era rappresentata dalla statuetta della Dea Madre che tuttavia, per via della sua accezione simbolica, poteva avere lo stesso significato del rosario che viene intrecciato alle dita dei defunti, rappresentando quindi un semplice rituale religioso. Nel tempo, soprattutto a causa dell’avvento del cristianesimo, probabilmente quest’abitudine ha perso il suo significato reale divenendo semplicemente un rito di scongiuro contro la morte.

1 commento: