mercoledì 18 luglio 2012

S’ACCABADORA VIVEVA VICINO A CASA MIA



Intervista diretta su questa misteriosa figura e sui riti della morte attraverso i ricordi di una testimone.

di Federica Selis

Beatrice (nome fittizio che ho scelto per la mia testimone) è una donna di 54 anni originaria della Planargia  che da tempo vive nel sud della Sardegna col marito e i due figli. Il nostro discorso è nato per puro caso, durante una normale chiacchierata, partita dal rito della festività di tutti i Santi, ed in particolare della cena dedicata alle anime defunte che Beatrice ancora perpetra, e in cui si è toccato di striscio un argomento che a me sta molto a cuore: quello de s’accabadora. Quando era ragazza nubile e viveva ancora in quel di Bosa, accanto alla casa natale di Beatrice abitava una donna dall’aspetto misterioso. Pare che alcune notti essa uscisse dalla propria casa per compiere un compito alquanto infausto. Interamente vestita di nero per confondersi con le ombre della notte, il viso e il capo coperti dallo scialle, questa vicina si dirigeva in tutta fretta verso l’abitazione di coloro che ne avevano richiesto la presenza e, trascorso un certo lasso di tempo, sempre mentre le tenebre erano ancora profonde, faceva rientro nella propria casa. Tutti sapevano chi fosse, tutti sapevano cosa facesse, nessuno però lo diceva apertamente.  Incuriosita dalla piega presa dal discorso ho deciso di concordare un incontro con Beatrice e di realizzare quest’intervista, che ho registrato attraverso un supporto digitale. Voglio chiarire che le parole, i tempi verbali, le pause e la sintassi delle frasi si rifanno fedelmente al discorso parlato, quindi soprattutto per quanto riguarda la sintassi, non ne viene affatto curato l’aspetto. Ho preferito riportare fedelmente tutta l’intervista, della quale io conservo la registrazione originale, trascurando di curare – come già detto - la sintassi e la punteggiatura. La chiacchierata, che parte dalla descrizione di quest’accabadora, si diparte attraverso i rituali e le tradizioni legati alla morte e tipici della zona di provenienza della mia testimone, sostenendosi attraverso momenti di vita vissuta. L’intervista si tiene a tre voci, con due parti intervistanti che verranno definite rispettivamente D e D2 ed una voce che racconta, quella di Beatrice, che verrà definita R.

mercoledì 11 luglio 2012

Le streghe-vampiro della Sardegna: le figure leggendarie della Coga e della Surbile


  di Federica Selis
Coi tempi che corrono non è più prassi per le famiglie avere molti figli. È cambiata la società, è cambiato il modo di vivere il tempo, lo stesso modo di accudire la famiglia, il senso stesso del concepirla. Alcuni decenni orsono, come tutti sappiamo, le cose erano diverse: i fratelli più grandi dovevano badare alla casa, al focolare, talvolta era loro dovere allevare i fratellini più piccoli. Crescere una famiglia numerosa era considerato quasi un dovere, nonché un indice di fertilità e di potenza dell’uomo, perché tutti i figli, soprattutto quelli maschi, erano utili al sostentamento ed impiegati nel lavoro in campagna. Tuttavia la mortalità infantile era molto alta, e vista la sua incidenza in seno alla famiglia, considerata una vera disgrazia. Le cause erano diverse: vuoi la scarsa igiene se il neonato nasceva in casa, vuoi tare ereditarie, vuoi malattie non diagnosticate o poca cura del neonato, fatto sta che non tutti i bambini sopravvivevano o raggiungevano età molto elevate. Per redimere agli occhi della società, o della propria coscienza, una madre incauta o la morte inspiegabile di un neonato in culla, si era quindi soliti camuffare il decesso con la scusante del fatto leggendario. Si tenga presente che la leggenda non era vista allora con gli occhi di oggi: la credenza popolare era molto più forte e capitava spesso che il racconto di un fatto inspiegabile venisse preso per vero sia da chi raccontava che da chi ascoltava.

domenica 8 luglio 2012

La morte in Sardegna: superstizioni, ritualità e credenze


  di Federica Selis
Dare l’avvio ad un discorso sulla morte in Sardegna non è semplice. Tanti sono i concetti legati a questa fase della vita, l’unica certa dopo la nascita. Nella nostra epoca nessuna differenza distingue più noi Sardi da tutti gli altri paesi del mondo, la legge italiana determina e regola gli atti espletanti la morte e la religione cristiana detta i dogmi a cui tutti noi dobbiamo essere sottoposti una volta arrivato il momento. Ma come in tante altre situazioni in cui è la tradizione a farsi avanti a dispetto delle regole imposte, anche per quanto riguarda la morte ed in particolare gli usi e le credenze legate a questa, in Sardegna sussistono ancora delle regole non scritte che vengono tramandate e rispettate da moltissime singole famiglie. Il nostro punto di partenza in questo percorso vuole essere il presagio della morte nella credenza popolare. Diverse possono essere le cause di morte: malattia, incidente, vendetta. In genere i presagi avvengono la notte, talvolta tramite il sogno; altre volte è l’atteggiamento particolare di un animale che può essere interpretato come cattivo auspicio: citiamo in questo caso l’ululato del cane, a cui vengono attribuiti i poteri di comprendere quando la morte si avvicina alla famiglia.

martedì 3 luglio 2012

L'uccisione dei vecchi dai nuraghi ai giorni nostri

di Federica Selis

È stata davvero una pratica consolidata quella dell’uccisione dei padri da parte del popolo nuragico? O si è trattato solo di una cattiva interpretazione del termine che ha fuorviato del tutto un rituale che aveva ben altro riscontro all’interno della società?

Si dice fosse consuetudine, secondo un’usanza che oggi considereremmo barbara, al tempo dei nuraghi, l’uccisione dei padri. Sebbene la nostra concezione di giustizia al giorno d’oggi sia molto diversa da quella che potevano avere ai loro tempi i nostri predecessori, non è detto che ciò che realmente contemplava questo rito fosse da considerarsi del tutto erroneo. Il luogo più noto in cui si dice fosse prassi officiare tale pratica è Monte Baranta, in territorio di Olmedo: in teoria per via dei ritrovamenti effettuati al suo interno, in realtà perché ancora non si è riusciti ad attribuirgli una funzione ben precisa. A quanto ci è dato sapere tramite l’archeologia ufficiale, la muraglia megalitica di Monte Baranta, risalente al 2400 a.C., era strutturata in modo che l’anziano genitore, accompagnato dal figlio erede, percorresse un corridoio che conduceva al burrone e da lì, dopo essere stato stordito da cibi o bevande avvelenate, venisse fatto precipitare nel vuoto per mano dello stesso figlio, che rientrava poi all’interno della muraglia attraverso un secondo corridoio, nella nuova veste di capofamiglia. A sostenere l’esempio di Monte Baranta si aggiunge, nei pressi di Gairo, Sa Babbaieca, che per via dell’interpretazione data al suo toponimo (babbai = babbo; eca/ecca = sentiero, canalone) ha alimentato tante leggende riguardanti proprio questo rituale. Si tratta in realtà di un sentiero di montagna che termina in un profondo dirupo, e che secondo le leggende faceva da sfondo proprio al sacrificio che il figlio compiva nei confronti dell’anziano padre.